Ágnes-Heller

“Ágnes Heller per un’etica della bontà” a Mantova: Ornella Crotti parla della filosofa ungherese che nel 2010 fu ospite del Festivaletteratura

MANTOVA – Giovedì 16 aprile alle 21:00, nell’aula magna dell’Università di Mantova, Ornella Crotti ha tenuto la conferenza “Ágnes Heller per un’etica della bontà”, nell’ambito del ciclo di incontri dell’associazione di cultura ebraica “Man Tovà“, presieduta dal Prof. Stefano Patuzzi.

Docente alla Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano, Crotti ha recentemente pubblicato il saggio “Àgnes Heller and the secret of goodness” sul numero speciale della rivista internazionale “Thesis Eleven”, dedicato alla filosofa ungherese che nel 2010 fu ospite del Festivaletteratura, il Festival Internazionale della Letteratura di Mantova, considerato tra gli appuntamenti culturali e letterari più importanti d’Italia e d’Europa.

Nata nel 1929, ebrea, sfuggita alle deportazioni naziste e testimone a tutto raggio della catastrofe etica del secolo scorso, Ágnes Heller, tra le più autorevoli interpreti della complessità filosofica della modernità, «ha preso distanza dalla concezione strettamente marxista elaborando una concezione, da lei stessa definita socialista-democratica, che individua nei bisogni radicali i fattori di superamento delle società, dove i rapporti sono di sopraffazione e di dominio. La sua critica – dice Crotti – è rivolta alla manipolazione dei bisogni, che produce bisogni estraniati, sia nei Paesi che hanno sperimentato il socialismo reale, sia in quelli capitalistici». Ma è possibile oggi, in una società che vive il relativismo dei valori, formulare una proposta etica di questo tipo? «La riflessione della Heller – dice ancora la docente – si rivolge ad un’umanità pensata come comunità di esseri che si comprendono e sostengono, nella prospettiva di un’etica fondata sul coraggio civile, che valorizza la responsabilità individuale, dove ognuno può scegliere se stesso come persona buona».

La teoria dei bisogni è uno degli aspetti del pensiero della filosofa, che maggiormente hanno segnato la sua vita di pensatrice libera e di docente. Il bisogno riguarda l’uomo in quanto “animale politico” e si colloca a metà strada tra i desideri – che sono personali, perché appartengono alla sfera psicologico-emotiva – e le esperienze (o bisogni socio-politici) che la società attribuisce, e talvolta impone, ai suoi membri. Storicamente, si è assistito ad un’evoluzione della categoria del bisogno: mentre nella società premoderna i bisogni, insieme ai relativi mezzi di soddisfacimento, venivano assegnati all’individuo al momento della nascita in base alla categoria sociale di appartenenza, la società moderna non impone bisogni all’individuo, perché questi è riconosciuto libero di compiere scelte personali. Nella società borghese stile di vita, preferenze e tutto ciò che rientra nel “sistema di bisogni” sono identici per ciascun individuo, ad eccezione dei mezzi – di maggiore o minore valore monetario – necessari al loro soddisfacimento. Al contrario, nella società di tipo sovietico si era imposta la “dittatura dei bisogni”, in cui l’autorità centrale determinava i bisogni delle persone in base alla loro posizione all’interno della gerarchia del partito, mentre gli scarsi mezzi a disposizione venivano distribuiti esclusivamente ai detentori del potere centrale. Oggi, nei moderni Stati del welfare, la distinzione tra i tre aspetti del sistema di bisogni (i bisogni individuali, i desideri e i bisogni socio-politici) si trova sottoposta alla logica del mercato. Questo ha determinato il passaggio da un’allocazione di tipo qualitativo ad una puramente quantitativa. Ma le dinamiche della modernità – denuncia la filosofa, senza nascondere un certo rammarico – sono assenti nella maggior parte dei Paesi, in cui si assiste, piuttosto, ad una deleteria combinazione di forma premoderna di allocazione dei bisogni e logica di mercato quantificante. Per questo “i conflitti rimangono irrisolti, i bisogni non vengono riallocati e l’uso della forza è ancora estremamente diffuso”. Per questi Paesi sarebbe sufficiente anche solo un avvicinamento al modello del welfare state, non essendo rinvenibile, al momento, alcuna valida alternativa.

Il senso della teoria dei bisogni, che aveva contrassegnato gli anni ’70, può essere ancora valido, se è d’ispirazione al popolo per un cambiamento, un miglioramento, un agire morale. Per la filosofa è essenziale che il popolo stesso prenda coscienza di sé e si prenda cura di se stesso attivamente. Solo in virtù di una consapevolezza di ciò che siamo e ciò che vogliamo, potremo metter mano ad una azione di cambiamento, nella prospettiva di un’etica fondata sul coraggio civile, che valorizza la responsabilità individuale, dove ognuno può scegliere se stesso come persona buona. Ma qual è il criterio per stabilire chi siano le persone buone? Heller, riprendendo l’argomentazione socratica, dichiara che è da considerare moralmente retto chi preferisce subire un’ingiustizia, piuttosto che commetterla, perché questo è l’unico modo di assumersi la responsabilità degli Altri. E se non è possibile spiegare o dedurre da certezze metafisiche perché alcune persone compiano scelte esistenziali di contenuto morale e si scelgano come rette, a differenza di altre (essendo una questione ontologica che esula dall’ambito della filosofia morale), è possibile comunque avere la certezza della loro bontà dalla rettitudine della condotta pratica: “le persone buone esistono. Sono reali. E tutto ciò che è reale, è possibile”. Heller riassume così le caratteristiche delle persone buone: scelgono il bene, aspirano all’incondizionato (come un amore ed una libertà assoluti), non conoscono fanatismo, comprendono e perdonano gli altri, rispondono alle loro richieste, hanno un carattere lieto. E dal momento che l’amore rende le cose belle, noi amiamo le persone buone proprio in virtù della loro bellezza.

(fonte: Gazzetta di Mantova, RecensioniFilosofiche)

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